fiume
Poesia

Anime fluviali: Hölderlin e il Fiume Inarrestabile

Il Fiume Incatenato

Dormi e sogni, in te avvolto, giovane
forza; e attendi paziente sulla fredda
riva. Alla tua origine non pensi
o figlio dell’Oceano amico dei Titani.

Non riconosci i messi dell’amore
che il Padre invia? Il respiro del vento?
Non ferisce la nitida parola
che dall’alto ti manda un Dio che veglia?

Ma in cuore ha un suono, ormai. Qualcosa sgorga
come quando giocava nel grembo della roccia.
Ora il possente pensa alla sua forza.
Ora il dubbioso ha fretta. E irride

alle catene che solleva e infrange,
ne dissipa i frantumi per la riva
fragoroso, giocoso e iracondo,
e le montagne intorno si ridestano,

alla voce del figlio degli Dei,
le selve si sommuovono, lontana
l’abisso ode la voce dell’araldo,
la terra ha un nuovo brivido di gioia.

Ecco la primavera; il verde albeggia.
Emigra il fiume verso gli immortali.
Soltanto là è giusto che rimanga
dove braccia paterne lo ricevono1.

Il “Fiume incatenato” di Friederich Hölderlin non è testo che puoi mettere a fine articolo. Oggi rompo la tradizione: l’energia poetica di questo passo mi ha travolto, mi travolge e mi travolgerà. D’altra parte il Fiume è la metafora naturale dello scorrere del Tempo, e dunque perché questa poesia non dovrebbe travolgermi in eterno? In questa vita un presente torrenziale ci accompagna e la stessa acqua non ci bagna mai due volte. Oggi mi schiero dalla parte di Eraclito, perché fatemelo dire ragazzi: πάντα ῥεῖ2, tutto scorre.

Ammetto che è la prima volta che scrivo questa frase in qualcosa che non sia un compito in classe.

Ciononostante, dopo questa confessione, voglio tornare subito sul pezzo: tutto scorre, ok, ma come? Di certo non senza lasciare tracce: a volte resta una scia di ricordi, altre una cicatrice di rugiada, altre ancora viene fuori il Grand Canyon. Sembra che debba passare tutto in questa vita, noi compresi. Al punto che mi domando: siamo davvero immersi nel Fiume di Eraclito, o piuttosto siamo noi stessi il Fiume di Hölderlin, il figlio degli Dei che, già alla nascita, possiede in sé il destino del suono che lo anima, lo libera, lo solleva?

Questo suono ci culla ancor prima del pensiero, nel più candido inizio della nostra esistenza. Ogni uomo è possente, dubbioso; ogni donna fa tremare la terra a primavera. Magari non tutti sono figli dell’Oceano e amici dei Titani, ma quante ne volete, nessuna allegoria è perfetta.

E poi Hölderlin è così, deve fomentarsi con qualche epiteto classico mentre scrive. Lui che, negli ultimi trentasei anni della sua vita, aveva perso la cognizione del tempo. Viveva infatti rinchiuso nella “Torre”, ovvero nella stanza all’ultimo piano della casa di Ernst Zimmer, falegname che si era offerto di ospitarlo dopo che il manicomio di Autenrieth aveva ufficialmente dichiarato il poeta “inguaribile”3. Lì continuò a scrivere le sue opere, firmandosi spesso Scardanelli e datandole al 1600.

Fiume-Ritratto di Friederich Hölderlin
Franz Karl Hiemer, Ritratto di Friederich Hölderlin, pastello, 1792

Da quella stanza egli guardava il Neckar, vale a dire, indovinate un po’, un bel fiume. Guardalo oggi, guardalo domani, guardalo per trentasei anni, insomma: alla fine scrive ‘sta poesia qua. La scrive e ci lascia a bocca aperta per due secoli4, ma azzardo una profezia su questi versi: non finiranno di stupire oggi.

Meglio ora che l’articolo sfoci nel finale, perciò desidererei svelarvi un’ultima cosa: il motore che ha mosso la mia incoerente ispirazione. Negli ultimi giorni ho dovuto affrontare il senso del dolore, del lutto, e come spesso capita in queste circostanze sono io il primo a dire: passerà; quando so che non è così. Tutto scorre, niente se ne va, gioia e dolore compresi; e questa è una grande fortuna. Tutto ciò che è esistito ci appartiene: ogni gesto, ogni emozione, ogni volto caro. Tutto il passato rimane presente in noi e la speranza che ci resta, la chiamiamo futuro.

Leggete Hölderlin, Camus, Dostoevskij; non fate come me, che li cito e basta. Poi andate a passeggio; impastate la pizza, cuocetela e mangiatela soprattutto; fate l’amore e sopravvivremo tutti, finché braccia paterne non ci riceveranno5.

Note:

  1. Riporto la traduzione italiana da Le liriche, a cura di Enzo Mandruzzato, Adelphi Edizioni, Milano 1977 (più volte ristampato). Un volumetto vasto e profondo, l’ideale per conoscere un poeta che non si presta alla superficialità.
  2. Leggasi pànta rei, il frammentino più minuscolo e incisivo della filosofia greca. Curiosi di saperne di più? Approfondite con I Fiumi di Eraclito del mio collega Fabrizio!
  3. La sua malattia è stata più tardi classificata come “schizofrenia catatonica”, ma non voglio approfondire il gossip medico/macabro specialistico.
  4. Hölderlin visse nella Torre dal 1807 al 1843, anno della sua morte.
  5. Oppure non seguite nemmeno uno dei miei consigli, probabilmente andrà anche meglio.

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