giganti latini - chiave
Intervista,  Teatro

La Chiave di Cotrone: anemoni, porte e una chiacchierata con Roberto Latini

Io: Roberto1 prima di tutto fatti ringraziare per la disponibilità. Noi ci siamo conosciuti parecchio tempo fa nello spazio del Mat a Sezze, proprio l’anno in cui ho intrapreso la strada del teatro.

Roberto (preoccupato): Chiaramente io non ho responsabilità in questo, vero?

Il mago Latini nei Giganti della Montagna - chiave
Il mago Latini nei Giganti della Montagna

Io: No, no, tranquillo; sei innocente: il danno era già fatto. Prima di continuare però, ti confesso una cosa: conoscendoti, mi sembrava d’obbligo non preparare nessuna intervista, quindi d’ora in avanti improvviseremo.

Roberto: Accomodati, siamo in due.

Io: Grazie, veniamo a noi. Ti ho già spiegato come funziona il blog e sto per svelarti la parola-Musa di questa settimana: “Chiave”. Ora, ricordi i tuoi Giganti della Montagna a Sezze, con la prima fila di spettatori a 30 cm da te?

Roberto: Una serata anti-Covid2!

Io: Esatto. Con quello spettacolo mi hai fatto innamorare di Pirandello.

(Immagino ora Roberto dall’altra parte del telefono a scuotere la testa, perché stavolta sa di non essere innocente)

Proprio 5 giorni fa, quando in redazione abbiamo scelto la parola “Chiave”, mi è tornato in mente Cotrone, il mago che a Villa Scalogna accoglie Conte e Contessa, spossati dal viaggio3. “Poveri cici”, scrive Pirandello, hanno bisogno di riposare, perciò il loro ospite gli riserva:

«La camera degli antichi signori della villa: l’unica che abbia ancora la chiave. E la chiave l’ho io»

I Giganti della Montagna, L. Pirandello

Se adesso ti chiedessi di associare questa frase (e il personaggio di Cotrone) alla ripartenza del teatro dopo 2 anni di Covid, cosa risponderesti?

Roberto: I Giganti sono un testo incompiuto, l’autore non ci è mai tornato sopra, la morte glielo ha impedito. Questa mancanza improvvisa di tempo ha fatto sì che le sue parole restassero impreparate, ed è questo che mi è sempre piaciuto tantissimo. Sì, la chiave forse è nell’impreparazione. La Chiave di Cotrone, dei Giganti e anche di questo nostro momento. Ma adesso ti voglio cambiare le carte in tavola (perfettamente nel suo stile ndr).

Voglio discostarmi da Cotrone, e approdare a Prospero4, che nella magia possiede la chiave del mare, la chiave che puoi usare una volta sola. Mentre ti parlo Salvatore, il mio viaggio mi porta a Shakespeare. In particolare a quello che Shakespeare scrisse nel 1593, quando la peste chiuse i teatri di Londra. Fu in quel momento che egli compose il poemetto di Venere e Adone5. Il mito racconta che loro due si amano, ma Adone fugge la dea e, andando a caccia, muore infilzato da un cinghiale.

Mi sono chiesto perché questo poema mi abbia ispirato proprio adesso. Forse la risposta è nel finale: tra le braccia di Venere il corpo di Adone svanisce e dal sangue caduto a terra nasce un anemone: il fiore del tormento. Così dalla tragedia al fiore l’occasione ci diventa primavera, diventa porta, ci porta.

Io: Tu hai un debole per i giochi di parole, eh? Sono la tua firma in parecchie interviste.

Roberto (ride): Già. In fondo siamo in un momento di passaggio, no? Ci sta come metafora: le porte della primavera, il porto dell’isola nella Tempesta… e portiamoci va!

Io: D’accordissimo. Qualcosa bisognerà pur portare al post pandemia; magari un’arte, un’umanità che revitalizzi lo spirito e le sue connessioni. A proposito, cosa pensi dell’appello, sostenuto da molti attori, a favore dell’inserimento del teatro come materia curricolare nelle scuole, in quanto “arte relazionale”?

Roberto: Il teatro è più di una materia, è condizione, è accettazione del diverso in noi e negli altri. Poi in questo tempo di gioventù sospesa, dal muretto con gli amici a quelle linee di pensiero, alle molle che a volte ti fanno partire verso qualcosa che ti somiglia, ci somiglia… Parlo di occasioni, di prospettive, di incontri messi in attesa, ed è inutile dire quanto il teatro possa servirci in questo. Ma occorrerebbe una grande selezione del personale, nessun docente dovrebbe reinventarsi, nessuno dovrebbe vivere questa possibilità come ripiego. Spesso nelle scuole i laboratori teatrali disfano bellezza, invece di crearla. È un compito delicato avere a che fare con la fiamma dei ragazzi, ancora così viva, incontaminata.

Io: La sensibilità delle persone viene sempre sottovalutata, e con essa tante potenzialità che neanche consideriamo. Secondo me il teatro nelle scuole deve andare al di là dell’arte, non deve cioè essere finalizzato a una disciplina tecnica; tuttavia, ho la sensazione che attraverso l’arte debba passare se i rapporti vogliono essere autentici. Sei d’accordo?

Roberto: Sì. Personalmente ritengo che sia necessaria una figura che sappia essere un pedagogo, ma anche un artista. Ci vorrebbe un equilibrio… sopra la follia6.

Io: Senti un attimo. Prima abbiamo lasciato in sospeso Venere e Adone, e non si dovrebbero mai far attendere gli dei. Vuoi dirci qualcosa di più su questo progetto?

Roberto: Posso raccontarti come ci sto lavorando. In sostanza, riflettendo su quello che, in questo periodo, ci siamo “passati” e “non passati”. Si tratta di una performance di 25 minuti, fatta più volte a sera.

«Così ci sono meno spettatori, per volta» mi ha detto qualche organizzatore. Onestamente, io all’inizio non ci avevo pensato; la durata si era palesata spontaneamente. Non ho mai capito perché gli spettacoli devono durare sempre un’ora, un’ora e cinque. Venere per me è un piccolo tempo manomesso, una distanza vicina, alla portata di persone che vengono chi sa da quale luogo, da quale storia.

Io: E io ti auguro il miglior sabotaggio possibile per i tuoi 25 minuti shakespeariani. Adesso però preparati, perché sto per farti una domanda che non c’entra nulla. È vero che molti fan ti chiamano “Robertone”?

Roberto (spiazzato): Mia zia mi chiama così! Mio zio e certi cugini mi chiamano Robertone… ma di altre persone non sapevo, fino ad oggi. Forse qualcuno, da qualche parte ma… non me l’aspettavo proprio.

Io: Adesso sai che anche a Sezze c’è qualcuno che ti chiama così.

Roberto: Magari mia zia vi ha attaccato il vizio.

Io (sorrido): Pensavo che la precedente sarebbe stata l’ultima domanda, ma con tutto questo parlare di poesia mi hai tentato troppo. Ho ancora una cosa da chiederti: la poesia a teatro, tu sei uno dei pochi a metterla in scena nei circuiti maggiori. Cosa hai da dire al riguardo?

Roberto: Sulla poesia con me sfondi una porta aperta, dal Cantico dei Cantici alle Metamorfosi7. Quello che penso sulla poesia a teatro è che da sola non ce la possa fare, ma può valere l’occasione. Serve qualcuno che si faccia attraversare. Mi torna in mente una cosa che mi disse la mia maestra, Perla Peragallo: il concetto di “poeta scenico”, un’espressione che non ho mai capito fino in fondo; e forse è giusto così. Quello che so è che si tratta di un gioco, un gioco molto serio: avere a che fare con la poesia, con le parole, senza trattenerle.

Note:

1) Attore, drammaturgo e regista, nato nella scuola Il Mulino di Fiora di Perla Peragallo. Ha familiarità con i Premi Ubu (vinti nel 2014 e 2017) e, in generale, con tutti i maggiori riconoscimenti ottenibili nel teatro contemporaneo italiano. Fondatore della compagnia Fortebraccio Teatro etc. etc. Ma se volete sapere davvero chi è questo artista, andate a vedere i suoi spettacoli; le mie parole non rendono.

2) Una bellissima replica che al giorno d’oggi avrebbe guadagnato la galera a molte persone.

3) Una compagnia di attori itineranti (La compagnia della Contessa) arriva in una villa isolata (la fortunata Villa Scalogna), in cui abitano dei misteriosi disgraziati. Capobanda degli Scalognati è Cotrone, un mago, un illusionista di soprannaturale ospitalità.  Decide di accogliere la Contessa e i suoi attori e li invita a rappresentare la loro “Favola del figlio scambiato” davanti ai Giganti della Montagna. Un testo in cui le parole prendono vita, ed il teatro è come una luna, spettro ammaliante nella notte. Ma ancora una volta, perché leggere me, quando potete ascoltare Roberto?

4) Ovvero il Duca di Milano in esilio, ovvero il Mago che regge le sorti dell’isola in cui approdano i naufraghi della Tempesta di Shakespeare. Inutile che vi spoileri la storia; quello è un viaggio da fare da soli, con calma:

Non aver paura. L’isola è piena di rumori, suoni e dolci melodie, che danno piacere e non fanno del male.

Calibano, dalla Tempesta di W. Shakespeare

5) Questo poemetto è tra i testi meno famosi di William; un esperimento particolare, una storia fluttuante nel mito in cui gli eventi, per quanto tumultuosi, sembrano fermi, fissi in una primavera eterna. Shakespeare rielabora il mito di Ovidio in 1194 versi, in cui il gioco della passione e la morte d’amore si intrecciano nella stessa, leggerissima penna.

6) Mi sembrava strano che ancora non avesse citato Vasco. Andatevi ad ascoltare Sally, va.

7) Poemi riadattati da Roberto per la scena. Assaggiateli entrambi: Cantico e Metamorfosi

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