
Dai Tarocchi a Platone: un viaggio all’insegna della follia
Il folle personaggio misterioso e perduto. Un compagno di viaggio inaspettato che ci guiderà lungo i misteri dei tarocchi fino alle spiagge dell’antica Grecia. Primo e ultimo arcano, questa carta porta con sé mille contraddizioni. Ma prima di addentrarci nel cuore pulsante di questo simbolo, sono sicura mi perdonerete una quanto mai breve premessa.
Il folle: osservato speciale della Santa Inquisizione
Come ogni cartomante sa bene il mazzo di tarocchi si compone di 22 arcani maggiori e da altre 56 carte, dette chiacchierine. Mentre le prime 22 carte raffigurano ognuna un’immagine ben precisa e distinta, le altre ricordano molto da vicino le carte da gioco napoletane. La ragione di questa affinità risalirebbe al XVI secolo quando, contestualmente alla diffusione delle scienze divinatorie, prendevano sempre più piede le inchieste della Santa Inquisizione. All’epoca chiunque si dilettasse in tali proibiti passatempi, doveva necessariamente ingegnarsi per celare i propri i giochi agli occhi indiscreti degli astanti. E quale modo migliore se non quello di camuffare i propri tarocchi all’interno di ben più innocenti carte da gioco? Con il passare del tempo le chiacchierine divennero parte integrante del mazzo e tutt’oggi vengono usate per fornire dettagli complementari durante la lettura.
Il folle: l’arcano senza numero
Ma veniamo al mistero della numerazione. I 22 arcani maggiori sono numerati da 1 a 21, l’unico simbolo senza numero è il matto. Se mai vi venisse la curiosità di disporre tali carte in ordine numerico, vedreste apparire niente meno che la storia dell’umanità. Come spiegato magistralmente da Serenella d’Ercole, ognuno dei 22 arcani racchiude un simbolo ancestrale che rappresenta una tappa del percorso dell’uomo sulla terra. (Leggete a tal proposito La via dei tarocchi di Alejandro Jodorowsky: ve ne innamorerete!). Questo percorso non è lineare, ma bensì circolare e destinato a ripetersi in continuazione su piani differenti. Il matto rappresenta, quindi, l’inizio e la fine di questo viaggio. Proprio per questo motivo è l’arcano senza numero. Inizio o fine? Sta a noi decidere.

Il folle: immagine e significato
Nell’iconografia tradizionale il folle indossa un copricapo da giullare e abiti logori. È sempre inseguito da animali selvatici che rappresentano gli istinti più basici della natura umana. Il matto simboleggia una creatura ibrida fra l’uomo e la bestia. Vive in piena comunità con la natura e segue solo ciò che gli comanda il cuore, o il proprio stomaco. Preda dei suoi più radicati impulsi, egli vaga senza una meta precisa, non conoscendo mai riposo. Il folle non è una carta statica ed è proprio per questa particolare caratteristica che può rappresentare, indifferentemente, l’inizio o la fine di un percorso. Perché in entrambi i casi l’unica scelta è quella di continuare a muoversi, quasi come fosse un imperativo, o meglio, un istinto.
Non sempre annoverata fra le carte più favorevoli, il folle è una figura altamente problematica. Rappresenta una condizione che è propria di ognuno ma che la maggior parte di noi tende ad ignorare: lo smarrimento. La confusione o, se preferite, la pazzia è un elemento indispensabile per ogni inizio ed è inevitabilmente insita in ogni momento conclusivo della vita. Se non domata, però, rischia di travolgerci, condannandoci a trasformarci in raminghi senza senno. Insomma a quanto dicono le carte, non sapere dove andare è il giusto atteggiamento, se non l’unica condizione, per iniziare un nuovo percorso.
I doni della pazzia
Se a noi esseri così razionali ci sembra impossibile di far spazio alla follia nella nostra vita, non può dirsi lo stesso per gli antichi. I nostri antenati conoscevano bene la natura divina e tremenda di quest’ultima, e sapevano bene che non era saggio opporsi ad essa. Non stupisce allora che anche una persona austera come Platone nelle sue opere abbia sempre esaltato il senso profondo della follia. Più importante della saggezza, ancora più preziosa della sapienza, secondo il dotto ateniese l’essere folli era una condizione che andava oltre l’umano. Prerogativa e dono degli dèi, la follia diveniva un mezzo di conoscenza. Un prezioso regalo che offriva una nuova prospettiva sulla realtà e sulla condizione umana. Non a caso nel Fedro troviamo Socrate che complice ci svela che i doni più grandi ci vengono dalla follia.
Dioniso, il dio di cui tutti noi avremmo bisogno
D’altronde secondo la concezione greca solo lo stato d’alterazione e l’alienazione dal presente trasportava l’uomo sul piano della divinazione. Chiedetelo pure alla Pizia o a Cassandra se non ci credete. Dono e condanna, la follia la si poteva solo accettare e integrare nella vita di tutti i giorni. Lo ha imparato a sue spese Penteo che, nemico dichiarato dei folleggiamenti e dei baccanali, si è trovato invischiato e travolto dai suoi stessi divieti. Monito per noi tutti che troppa razionalità spesso coincide con la ubris. Lasciando da parte l’ira divina, penso che la cosa più preziosa che i riti dionisiaci possano insegnarci è come prendersi una pausa da noi stessi. Non a caso Dioniso era chiamato lysios, il liberatore, come ci ricordano le splendide pagine di Eric Dodds nel I greci e l’irrazionale:
Dioniso era capace di sollevarlo [l’individuo] dal peso dell’esistenza, perché Dioniso era il Signore delle illusioni.[…] Egli che poneva i suoi fedeli in condizione di vedere il mondo in maniera diversa dalla realtà.

Come ci riuscisse beh lo sappiamo tutti: musica, danza e vino. Sostanza inebriante e misteriosa che fin dalla notte dei tempi rallegra i cuori di noi comuni mortali. Dagli appassionati simposi della Grecia alle calde terre d’Egitto il vino (all’occorrenza anche la birra) è stato il protagonista di ogni banchetto e rituale. Davanti al suo fascino quasi nessuno riesce a resistere, neanche gli dèi. Come ci ricorda l’egizia Sekhmet, la temibile dea dalla testa di leonessa, la cui ira è stata mitigata solamente da una colossale sbronza.
Imbarcatevi in un nuovo viaggio
In soldoni se in questi tempi pazzi vi sentite smarriti non abbiate paura, il matto non l’ha mai, ma concedetevi il lusso della confusione. Datevi alla risata, al pianto alla musica e perché no? Stappatevi una buona bottiglia (ma con moderazione, a meno che come Sekhmet non abbiate una testa di leonessa). Evadete da voi stessi: ritrovarvi sarà ancora più piacevole. Ma soprattutto, a costo di inoltrarvi in sentieri inesplorati, imbarcatevi in un nuovo viaggio, qualunque esso sia.


Un commento
elena di pucchio
brava hai mescolato il rito pagano e la folliain maniera preziosa. nelle figure che evochi si sente il destino di angoscia e inquietudine un sospensione incerta tra mistero e magia