
‘Nnamo pe’ foreste: da Dante a Macbeth
Dovevo trovare un titolo particolarmente sbarazzino per questo articolo. Tutto ciò per nascondere, attraverso una miriade di allegre balle – come tra le fronde di una foresta, una sola verità: è pesante, quello che vi dirò È PESANTE.
Avete paura adesso? Avete già smesso di leggere?
Be’, se non avete chiuso la scheda dell’articolo finora… posso darci un taglio con questa storia dello scrittore cattivo. Purtroppo, funziono così: più penso che mi leggono (forse) 15 persone in tutto il mondo, più mi diverto; perché in fondo le foreste delle parole servono a questo: celare agli altri, rivelare a noi stessi.
Foreste letterarie
Nel mondo della letteratura la foresta è sempre stata allegoria di uno smarrimento, ma anche di un ritrovamento: essa è contemporaneamente il luogo in cui ci si perde e in cui ci si riscopre. Prendete Dante, che tra l’altro scese all’Inferno proprio il 25 marzo del 13001: s’è smarrito nella selva oscura, poi passa per le fitte selve di anime del Limbo, inciampa nella foresta dei suicidi. È chiaro che attraverso queste foreste metaforiche il poeta dipinge peccati e peccatori, è evidente che la faccenda sia molto più complessa di come ve la presento; tuttavia, ciò che più mi resta delle sue immagini è il disorientamento, la perdita del sentiero.
È così anche quando penso ad Ariosto e al suo Orlando (Furioso), che vaga per boschi e trova l’albero su cui la sua amata Angelica ha scritto “Angelica + Medoro = TANTO LOVE”. Il paladino allora perde il senno, prova a illudersi che Angelica ami comunque lui. Pensa: magari non lo ha scritto lei, magari voleva darmi un nuovo soprannome. Tutto ciò accade in una foresta… Coincidenze? Io non credo: la foresta è uno spazio labirintico che separa l’eroe dal mondo esterno, là il Destino lo chiama per mettersi alla prova, non davanti a dame e cavalieri, bensì al cospetto di sé stesso.
Questo è un altro dato fondamentale: nella foresta scompare il culto dell’onore, i personaggi restano soli con sé stessi, con le loro paure e i loro errori. A volte, è il caso di Dante, nemmeno si rendono conto di essere arrivati nella foresta del loro Io, fin quando la consapevolezza della solitudine non gli piomba addosso e gli rivela tutto.
Sei rimasto solo Dante, sei solo Orlando. Oh sì, Orlando, hai letto bene sull’albero: Angelica + Medoro.

Ops, scusate. Un rigurgito di malvagità repressa. Ma vediamo di mettere le cose a posto: due metaforici amici accorrono in soccorso dei nostri eroi. Si tratta di Virgilio e Astolfo, che insegnano, aiutano, salvano Dante e Orlando. I poemi e le situazioni di cui parlo, ovviamente, sono i più diversi; eppure, a me interessava sottolineare questa parabola che li tiene in contatto: nelle foreste ci si perde, nelle foreste ci si ritrova.
Certo, potreste obiettare: ma mi ci devo proprio perde’? Non sarebbe meglio provare a conoscersi senza smarrirsi nel peccato/nella follia? Ben detto: sarebbe meglio, ma non sempre è possibile. A volte, siamo costretti ad affrontare la nostra Foresta.
La Foresta di Birnam: ahia, Macbeth
Anzitutto, chi è Macbeth, protagonista dell’omonima tragedia di Shakespeare? Egli è un nobile scozzese molto ambizioso, che viene messo davanti a una scelta dalle tre streghe della brughiera: votarsi al potere o seguire la giustizia. Gli viene predetto un destino regale, a patto che uccida l’attuale re di Scozia: Duncan. E lui accetta2, raccontando a sé stesso che solo uno sciocco può fuggire il suo destino. Ma a ben vedere è proprio la scelta di Macbeth a segnarne la sorte: la scelta di credere e compiere l’oscura profezia delle tre streghe.
Fin qui tutto liscio come un pugnale affilato, ma ora arriva il bello: Macbeth ha la sfortuna di avere una coscienza. Inizia a tormentarsi, a impazzire, a diventare paranoico e sprofonda ancor più nella corruzione e nel delitto. Facendo questo, spera di rimandare il suo appuntamento con la sorte e, in un certo senso, con la sua coscienza – e da quest’ultima a mio parere, più che dai suoi nemici, sarà schiacciato Macbeth.
L’usurpatore del trono di Scozia sente che la fine è vicina e interroga nuovamente le tre streghe, che per “rassicurarlo” gli rifilano quanto segue:
Macbeth non sarà vinto fino a quando la foresta di Birnam non muoverà verso il colle di Dunsinane contro di lui.
Macbeth, Shakespeare
Allora il chicco pensa: «Sta apposto, e chi me schioda più dar trono».
Tutto sembra risolversi in favore del male, ma poi l’impossibile accade, com’è inevitabile in questi casi: i nemici di Macbeth si sono mimetizzati nella foresta davanti al suo castello e avanzano nascosti da fronde. Ci manca solo Barbalbero che suona la carica e sarebbe la battaglia di Isengard3.

Macbeth perderà lo scontro con i suoi nemici e, soprattutto, con la propria anima mutilata dall’omicidio. Fino all’ultimo tenta di difendersi dagli attentati, come dai rimorsi, ma gli uni e gli altri, uniti, prevalgono. Guarda da lontano la foresta di Birnam, ben deciso a tenersi lontano da lei, ma sono gli alberi stessi ad avanzare.
Allora, in sintesi: non è meglio come fa Dante? Va nella selva oscura, cammina, chiacchiera coi dannati, quando deve sveni’ sviene, e poi esce a riveder le stelle. Non fa bene Orlando a togliersi dalla testa la bella saracena Angelica e oltre a lei l’armatura, per correre nudo come un pazzo?
Ora però, mi sono perso quanto basta nell’intrico delle mie riflessioni. Meglio che vada a ritrovare me stesso. Voi andate avanti, vi raggiungo:
S’aprirà poi una radura in questa vita,
dove ciechi di nuovo parleremo,
un respiro per volta,
nella luce.
Note
- Per questo si è deciso di collocare in questo giorno la data commemorativa del Dantedì.
- Consigliato oltretutto dalla sua Lady, personaggio maleficamente straordinario.
- J. R. R. Tolkien sostenne di aver scritto la battaglia di Isengard nel Signore degli Anelli, proprio per rimediare alla scarsa epicità della trovata shakespeariana. Della serie: parli di una foresta che avanza, fa’ avanzare degli alberi veri, non degli uomini travestiti da arbusti!

