Poesia

La Gemma taciuta: storia di una donna senza poesia

Non è una novità, Gemma cara, i poeti tendono a cantare l’amore impossibile, contrastato, rubato etc. etc. etc. E sposarne uno è la miglior garanzia che non scriva poesie per te. Al contrario le scriverà per quell’altra, colei che non può avere, perché lontana, morta o semplicemente data in sposa a tale Simone de’ Bardi. Non prendertela Gemma, suvvia. Non scrissero poesie d’amore Cavalcanti o Cino da Pistoia per le loro mogli, per questa usanza bisognerà attendere a lungo. Tu saresti andata bene per Saba o per Montale, ma per un poeta antico… no.

Certo, dobbiamo tenere in conto la tradizione dell’amor cortese, l’amor de lonh, l’etica cavalleresca. In secondo luogo, le fonti non ti tramandano certo come un angelo, e nello Stil Novo piaceva quel tipo di donna lì, angelicata appunto. Dunque non solo eri sua moglie Gemma, ma anche poco adattabile ai dettami di quel cor gentil cui rempaira sempre amore. Prendila sportivamente, insomma, è andata così.

Indubbiamente, tutta questa letteratura, unita a una dose pluri-secolare di “senno del poi”, avrebbe aiutato Gemma Donati a mandare giù il boccone a cui pose amaro e Cielo e Terra: essere sposata con Dante Alighieri, e non ricevere in dono da lui nemmeno una poesia, neanche un verso, uno! Certo, del poeta ricevette la mano e la fede, dunque la vita. Ma anche lì, quale vita se lo sbatterono in esilio per vent’anni impedendogli di vedersi?

Questo almeno ci racconta Boccaccio in quel Trattatello in Laude di Dante, secondo cui il Sommo avrebbe sposato Gemma per dimenticare Beatrice morta nel 1293. Se davvero fosse andata così, non si può dire che le cose cominciassero bene e di certo non continuarono meglio.

Più vado avanti nella stesura dell’articolo, più confronto dati storici e letterari, più mi risulta difficile questa consolazione postuma di Gemma Donati. Difficilissimo non dirle: hai fatto bene a rosicare! Ma la verità è che non sappiamo nemmeno questo, non ci sono fonti a riguardo della furia di Gemma, bisognerà aspettare Pupi Avati e il suo L’alta Fantasia, per leggere e vedere qualche occhiataccia di madame Alighieri verso suo marito.

L’escalation poetica che fece sclerare la povera Gemma

Aveva composto la Vita Nova, e va bene, un prosimetro con scritto BEATRICE a caratteri cubitali dall’inizio alla fine. Poi ha scritto le Rime Aspre, e vai di Madonna Petra e compagnia bella. Quando sembrava che le allegorie volgessero al termine, ecco, l’oceano che fa traboccare il vaso: la Divina Commedia. Ovvero quel poema epico-religioso in cui Beatrice assurge a simbolo di salvezza di Dante e dell’umanità: sarà lei a mandare Virgilio a salvarlo, lei a intercedere presso Santa Lucia e l’altissima Vergine, lei a prenderlo per mano dall’Eden alla Rosa dei Beati. E Dante che le va dietro, incollato a questa dama del sogno oltre la morte, oltre la vita, ancora imbambolato come un ragazzino, che rimane a fissare la sua crush deificata, finché Beatrice deve dirgli, col lume d’un sorriso: Dante sciocchino, volgiti e ascolta, ché non pur nei miei occhi è Paradiso.

Non pur nei miei occhi è Paradiso…

Paradiso, Canto XVIII

Probabilmente l’unica frase della Divina Commedia con cui Gemma Donati sarà stata d’accordo. Sì, perché lei poté leggersela e scommetto che lo fece, se non altro per avere conferma di non trovarvisi citata. Nemmeno lì. «Ma era ancora viva all’epoca della stesura, Dante non poteva inserirla!». Cazzate. Ha trovato il mondo di inserire Cavalcanti, Bonifacio VIII e Corso Donati, e loro mica erano morti. Quando gli interessava, quel poeta sapeva mettere in terzine chiunque.

Cara Gemma, adesso vorrei avere una poesia di Dante da dedicarti, ma sappiamo entrambi che è impossibile. Resta la sensazione, dopo aver letto tanto di Beatrice, e per lunghi anni dal liceo in poi, che ci siamo persi qualcosa di prezioso, qualcosa che il tuo nome avrebbe meritato. E forse, quel che più resta di te oggi, è l’ingiustizia che ti pone in quella grigia schiera – meglio sarebbe stato l’Anti-Inferno – di coloro che sospirano al passaggio di quella Donna Gentile. Tu infatti, per tradizione o desiderio, hai sospirato più degli altri.

«Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: «Sospira!».

Sonetto, Vita Nova – Cap. XXVI

2 commenti

  • Vanessa Pecorilli

    In pochi, caro Salvatore, sanno spiegare in parole semplici la complessità della letteratura e della storia.
    Tu, hai aggiunto a ciò la tua simpatia e mi hai strappato un gran sorriso.
    Grazie sempre.

    Vanessa

    • Salvatore Rosella

      Grazie mille, il divertimento è sempre un canale di comunicazione privilegiato per l’arte 😉

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