limite - muraglia cinese
Filosofia

Il limite: una soglia d’ingresso o un confine invalicabile?

Limitarsi, non andare oltre, non arrischiarsi o non superarsi. Il limite traccia un confine, una soglia da non oltrepassare. Limitarsi dunque potrebbe sembrare ledere la propria libertà, non assecondare l’avidità di volere sempre di più, la tracotanza di spingersi un po’ più in là, il desiderio infinito di conoscere ancora, la gola di assaggiare l’ignoto.

Entro un limite lo spazio è finito, si taglia il mondo, si fa un’operazione di differenziazione. Tuttavia solo dentro i confini si può pensare la lontananza e l’approssimazione, ciò che è fuori e ciò che è dentro, la differenza e l’identità.

Il limite è dunque anche la soglia d’ingresso al proprio mondo, pur essendo il punto più distante rispetto al centro di quel mondo che viene considerato “mio”. Sicché vivere al limite significa anche avere la capacità di vedersi dall’esterno, sul liminare, sul finire d’un mondo. E questa particolare atopia permette di guardarsi a distanza, osservare la costruzione del proprio “io”, riconsiderarsi come parte ineliminabile di un certo ambiente, ma immaginarsi anche altrimenti, giocare a spostarsi, vedere sé e la propria cerchia da un’altra prospettiva.

Il limite offre la possibilità di vedere la propria stessa differenza, di non vivere nell’in-differenza, ma di approssimarsi all’altro e al “proprio” in quanto anch’esso intrinsecamente “altro”.

Il filosofo Emmanuel Lévinas nell’Epifania del volto recita:

Un invito al bel rischio dell’approssimarsi in quanto approssimarsi.

Il volto del prossimo mi significa una responsabilità irrecusabile, precedente ogni libero assenso, ogni patto, ogni contratto.

L’obbligo generato dalla prossimità del prossimo mi concerne prima o altrimenti.

Il volto del prossimo mi ossessiona attraverso questa miseria. «Egli mi guarda», tutto in lui mi riguarda, niente mi è indifferente.

Nella breve introduzione – Nascere alla differenza – alla raccolta delle “poesie” levinassiane, Franco Riva nota proprio la specificità del vivere liminalmente ovvero in prossimità rispetto al vivere al centro in quanto luogo della possessività:

Tutto ruota tranquillamente intorno al perno dell’io, e all’illusione sovrana di stare al centro: perno che non vede differenza, che equipara tutto con tutto, fatto salvo se stessi nel proprio stare al centro; e che fa di tutto il resto, del mondo e degli altri, qualcosa che deve rimanere – nella sua inevitabile estraneità, nella sua strumentalità -, a propria disposizione.

Liminarità

Rispetto a un “io” protetto e rinchiuso nelle costruzioni illusorie di propri bastioni, la figura liminare sta sempre con un piede di fuori, nel mezzo fra due mondi, un po’ di qua e un po’ di là. La figura liminare vede sempre meglio di tutti: il bambino, come l’anziano, ha lo sguardo di chi è vicino quanto all’esserci tanto al non esserci, ed è per questo che colpisce la sua straordinaria capacità di far vedere altrimenti.

Gli archetipi vita-morte – poveri e mendicanti, forestieri, bambini, eredi, mascherati – meravigliano e terrorizzano allo stesso tempo, ci stupiscono facendoci scostare dal nostro presunto e unico centro, trovandosi loro senza o fuori luogo, nel tra. Tali figure, talvolta un po’ scomode, aprono alla conoscenza della nostra finitezza, del nostro stesso limitarci, della nostra cecità rispetto alla variopinta realtà, della nostra dimenticanza nei confronti degli altri mondi possibili. È lo stesso limite a ricordarci la nostra umanità, a renderci consapevoli di ciò che ci rende umani “con tutti i nostri limiti”.

Il confine è sottile, l’argine scivoloso

I nostri limiti sono ciò ci rende vulnerabili, i punti di sfida con noi stessi e di esposizione con l’alterità. I limiti sono nei nostri volti nel momento in cui ci esponiamo al mondo, escono quando siamo fuori dalla nostra comfort zone. Sicché la tendenza è quella di creare dei baluardi difensivi, delle frontiere inaccessibili, delle barriere che non smascherino la loro “inquietante” presenza. Ma i limiti, nel momento stesso in cui definiscono, rendono visibile, aprono all’intrinseca possibilità di dissolversi, di rovesciarsi nell’opposto, di lasciarsi pervadere dall’altro, di essere guardati per la prima volta, di farci trovare allo stesso tempo in noi e fuori di noi.

Perché nasce la differenza. Perché l’altro perfora la noia ottusa dell’indifferenza, l’agire replicato della violenza: concede e permette perfino all’indifferenza, persino alla violenza, di essere fino in fondo quello che sono.

(Franco Riva, Nascere alla differenza)

Limitare o limare

Il limitare inoltre potrebbe essere ravvicinabile al limare, al perfezionare il taglio più che al recidere le alternative. In questa prospettiva limitarsi non è solo “escludere” altre possibilità, bensì scegliere accuratamente, selezionare di volta in volta, prendendo in considerazione tutte le vie percorribili, investigarle e trovarsi a prenderne una o più di una, nei “limiti” del possibile, di migliorare il proprio tragitto, levigarlo oppure di intraprendere un nuovo viaggio o ancora di costruire una strada inedita. In fin dei conti anche il limite ha un limite: quello di rimanere solo provvisorio.

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