
La maschera nei rituali di passaggio: dalla maschera carnascialesca alla mascherina sanitaria
Fin dall’antichità la maschera compare in tutti i momenti di transizione, nei riti folklorici dei calendari popolari, come simbolo della perdita momentanea della propria identità, dello status sociale, della vita ordinaria per far entrare nel tempo limitato della festa, caotico e allo stesso tempo controllato, l’altro, il diverso, il “morto”, in un rimescolamento dei piani che accompagna, propiziandosela, la nascita dell’anno venturo, di una nuova feconda primavera.
Il Carnevale: la festa della maschera
Il Carnevale è la festa del “carro navale“: in Babilonia nelle settimane che precedevano l’equinozio di primavera, l’antico capodanno in varie tradizioni orientali e occidentali, si trasportava il simulacro del dio Luna o del dio Sole a bordo di una nave munita di ruote. Durante questa processione, che simboleggia il viaggio verso l’anno nuovo, compare l’utilizzo di maschere, immagini degli esseri degli inferi e delle forze ctonie, che nei periodi di passaggio stagionale scendono tra i vivi, figurando il rimescolamento cosmico di vita e morte che porta al rinnovamento e alla rinascita della natura.

Il Carnevale è un momento di transizione, un capodanno, in cui dominano il caos, la lotta, la libertà sfrenata, al fine di propiziarsi un nuovo buon ordine avvenire e viene festeggiato con una serie di comportamenti orgiastici, di finte battaglie, allegorie dello scontro fra forze positive e negative del cosmo, in una specie di capovolgimento delle condizioni sociali e morali: “lo schiavo diventa padrone” afferma un’antica iscrizione babilonese.
È tempo di mascherate rituali obbligatorie, si deve impazzire sulla cosiddetta stultifera navis, ma la follia non è insensata, ha una direzione, approda alla trasformazione. Il gioco cosmico ha delle regole e punta all’eterno ristabilirsi dell’ordine, insomma è ora della ri-creazione.
Durante la navigazione il corpo del vecchio anno si frantuma nell’indistinto: ognuno perde la propria identità, i ruoli sono invertiti, così come i sessi, mentre la danza collettiva è orgia dionisiaca, è l’obbedire al Gioco divino che regge il cosmo.
Le maschere a loro volta simboleggiano l’epifania dei morti che si confondono con i vivi, che spaventano, toccano, rapiscono e buffoneggiano.
Quelle maschere sono in realtà l’epifania della Morte che tutto rinnova, della tredicesima carta dei tarocchi: al fondo di ogni autentico Carnevale vi è infatti questa presenza, pur non avvertita coscientemente, che lo rende tragico nella sua apparente allegra sfrenatezza.
Nelle sfilate carnascialesche si attraversa allegoricamente il ponte che collega il vecchio e il nuovo anno, mascherati, spaesati, diversi, alla ricerca di sé. Nei giorni del carni levamen, in cui gozzovigliare è obbligatorio e che precedono i digiuni della Quaresima, si è senza nome, proprio come l’Arcano senza nome, identificato con “la Morte“. È in momenti come questi che ogni scherzo vale, quando si ritorna bambini, ovvero ci si rende più vicini al non essere, alla fine e quindi all’inizio, al prospero, al fecondo.

Non a caso il calendario astrologico termina nel periodo di Carnevale con il segno dei Pesci, rappresentando la fine del ciclo annuale che comincia in primavera con l’Ariete. I Pesci, l’uno con la testa alla coda dell’altro, sono il simbolo dell’acqua, del mondo indifferenziato, dell’indistinto dove si scioglie il vecchio e da cui rinascerà il nuovo. In India alla fine di ogni ciclo cosmico appare il dio Vishnu nelle sembianze di un pesce e nel cristianesimo il Cristo, rigeneratore dell’umanità, fin dai primi secoli figurava come un pesce accompagnato dall’acrostico greco ichtus.
La maschera nei rituali funebri delle società contadine del Sud
I mascherati d’altronde sono secondo Luigi M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrana delle figure folkloriche vicarie dei morti:
La maschera, in quanto campo di tensione dialettica – io-altro, essere-non essere, unità simbolica di ciò che altrimenti è disgiunto – rinvia, al fondo della varia e degradante fenomenologia, all’archetipo vita-morte.

Così come mascherati e su dei carri si sfila portando con sé l’anno vecchio, il Carnevale da bruciare ritualmente, secondo alcune credenze popolari della cultura contadina dell’Italia meridionale, per accompagnare il defunto alla sua effettiva dipartita si svolge un corteo funebre, percorrendo un itinerario attraverso il cosiddetto ponte di San Giacomo per raggiungere il nuovo regno infero. Si compie una processione, un “viaggio” verso il mondo dei morti, un vero e proprio rituale magico/funerario, a cui i pellegrini storici partecipano, attenendosi a delle stabilite procedure cautelative che impediscano che la morte resti irretita nella vita.
È interessante notare come questo viaggio, compiuto come se si fosse morti, come un’anticipazione protetta della propria morte, si attui attraverso la sospensione dello sguardo, il mascheramento del volto. Il mascherarsi risponde specificamente all’esigenza rituale di non vedersi mentre si compie un’operazione vitale, quale quella del mangiare.
Il pellegrino, per rendersi simile al morto, garantendosi contemporaneamente la continuazione della vita, deve rendere clandestina la propria vitalità; deve, cioè, compiere le azioni vitalmente necessarie ma rese, secondo la coerenza della fictio, clandestine a se stesso, al proprio sguardo.

Il fatto che la vita sia possibile in tutta la sua pienezza nella misura in cui viene vista vivere mi porta ad azzardare un pensiero un po’ “folle” sull’utilizzo odierno della mascherina sanitaria. Il ruolo protettivo del dispositivo che copre naso e bocca, per quanto sia di chiara importanza, non risponde completamente all’esigenza umana di dare senso a questa nuova “usanza” – obbligatoria e temporanea – diffusa globalmente. Forse che indossare la mascherina non abbia anche un valore simbolico? Che mascherarsi e confondersi, non vedersi mentre si mangia, si bacia, si vive sia una misura cautelativa tanto reale quanto simbolica? Che questo non sia un mascheramento collettivo, un viaggio compiuto come se si fosse morti per accompagnare i tanti defunti nel regno altrove? O un rituale propiziatorio al fine di scongiurare a livello profondo la morte?
Letture consigliate:
- A. Cattabiani, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno
- A. Cattabiani, Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia
- L.M. Lombardi Satriani; M. Meligrana, Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud
*immagine in evidenza: credits to Zina Saro Wiwa

