
Processo alla minigonna, dietro le pieghe del sessismo
Simbolo di emancipazione o bandiera del patriarcato? Come mai ancora nel 2020 si dibatte ancora sulla minigonna? Aspettando un mondo in cui la domanda “ma come ti vesti?” riguarderà semplicemente un mantra della moda e non una questione di genere, qualche commento non richiesto su alcuni fatti di cronaca.
Tacchi e minigonna fra gli scaffali della spesa

Chi non ricorda il polverone sollevato per la messa in onda da parte del programma Detto fatto del tutorial su come essere sexy mentre si va a fare la spesa. Durante le riprese Emily Angelillo, ballerina professionista, con tanto di tacchi e gonna minigonna (gonna pantalone) sfilava con il carrello in mano fra gli scaffali fittizi di un supermercato. L’intento era quello di dimostrare come si poteva essere belle e sensuali anche durante le incombenze più semplici. A vederla la scena era oggettivamente brutta e un po’ grottesca. Riproponeva il vecchio e disuso cliché che ogni donna per sentirsi affascinante debba per forza munirsi di trampoli e abiti succinti. In effetti, come ha spiegato poi la conduttrice, il siparietto voleva avere intenti comico-parodici. Ma le proteste non sono tardate ad arrivare. Commenti indignati sono piovuti da ogni dove, tanto che la Rai ha deciso di sospendere temporaneamente il programma di Bianca Guaccero. Fra i motivi di una così caustica indignazione c’era l’effettivamente infausta coincidenza della messa in onda del tutorial con la giornata contro la violenza sulle donne, ma era davvero così improponibile il contenuto del video? Personalmente penso di no. Con tutti i limiti del caso, si voleva solo diffondere alcune tips in chiave comica per sentirsi belle anche nelle occasioni più banali. Cosa non scontata visto che da un anno a questa parte le occasioni di mondanità sono state drasticamente ridotte. E se i tuoi tacchi preferiti urlano il tuo nome da dentro l’armadio, perché non indossarli per andare al supermercato sotto casa? Ovviamente questo discorso vale anche all’inverso. La pandemia ha regalato a tutti la scusa ideale per vivere perennemente in tuta. Ma nessuno vieta anche di alternare i due mood, perché non siamo personaggi stereotipati da cartone animato. E la mattina possiamo agghindarci per comprare i sottaceti per poi nel pomeriggio esibire un paio di ciabatte pelose per approvvigionarci di patatine. A conti fatti l’unico vero tabù sulla spesa rimane sola la vertiginosa IVA sui pacchi di assorbenti: abbassarla no eh?
Da oggetto sessuale a soggetto asessuato
Se avete avuto la bontà di leggere fin qua, vi starete chiedendo perché vi ho ammorbato con le chiacchierate vicende della programmazione pomeridiana della Rai. Giuro una ragione c’è. La puntata è stata accusata di perpetuare il vecchio stereotipo della donna in versione bambolona sexy, creata ad uso e consumo per le fantasie maschili. Insomma fra tutte le cose criticabili, leggendo la maggior parte delle reazioni sui social, la vera colpa del tutorial sembrerebbe quella di aver attribuito all’immagine femminile la volontà della seduzione.

Come se una persona non possa volersi vedersi bella per sé stessa indossando abiti considerati sessisti, o come se alla donna moderna fosse proibito voler attrarre. Stufe marce di una cultura maschilista che ci ha relegate a oggetto sessuale, è come se una parte dell’opinione pubblica abbia timore a riconoscerci la volontarietà di essere soggetto della nostra sessualità. Quasi come se tali aspirazioni inficiassero l’immagine di donne emancipate. Inoltre dove sta scritto che l’ipotetica spettatrice dovesse prendere appunti per ammaliare per forza un uomo e non un’altra donna? Forse esagero e magari la mia sensibilità non è abbastanza acuta per capire a fondo tutti i risvolti della faccenda, ma non riesco a togliermi una domanda dalla testa: Come mai nemmeno la metà di tutti coloro che hanno attaccato Detto Fatto ha levato una voce di protesta per i titoli del giornale su Renata Polverini? All’indomani della votazione su confermare o meno la fiducia al governo Conte, il quotidiano Libero, infatti, ha così glossato la decisione della parlamentare:
Renata Polverini, indiscreto-Dagospia: “Ragioni di cuore dietro alla fiducia a Giuseppe Conte”. E Crosetto: “Allora nessuna critica”
Davvero una minigonna può inficiare l’immagine della donna più che bollare le decisioni di una professionista come frutto di una tempesta ormonale?
E se poi ce casca l’occhio sulla minigonna?

Roma 20 settembre 2020, nelle aule del liceo Socrate infuria la polemica. I nuovi banchi a rotelle della ministra Azzolina? La Dad e lo spettro di nuove chiusure? No, al centro del dibattito torna lei: la minigonna. Sotto accusa le dichiarazioni della vicepreside che, come si legge nelle pagine della Repubblica, avrebbe ammonito le studentesse dell’istituto a vestirsi in maniera più consona all’ambiente scolastico:
Niente minigonne a scuola, sennò ai prof gli cade l’occhio
Le reazioni non si sono fatte attendere. Grazie al tam tam dei social, le liceali si sono organizzate, indossando, in segno di protesta, minigonne o altri indumenti che lasciavano scoperte le gambe. Il gesto non è passato inosservato e l’opinione pubblica si è spaccata in due.
Ora la nostra società culturalmente riconosce il binomio lunghezza del vestiario-formalità. In tutti i luoghi pubblici come tribunali, uffici e scuole in teoria bisognerebbe attenersi a certe regole di abbigliamento. Regole che riguardano ambo i sessi e che nulla hanno a che fare con la sessualità. Va da sé che ci sono luoghi e luoghi. Nessuno si sognerebbe mai di fermare un uomo in fila alle poste, magari a luglio inoltrato, e ricordagli di dovere infilarsi la giacca. Al contrario in un tribunale è richiesta una maggiore attenzione all’appropriatezza degli abiti indossati. La scuola non è un ufficio e non si possono né devono pretendere regole troppo ristrettive, ma forse la minigonna non è effettivamente la scelta ottimale.
Il vero problema delle dichiarazioni della vicepreside è la motivazione. Ancora una volta il corpo della donna, il corpo di giovanissime donne, il corpo delle nostre figlie è stato sessualizzato. Ma anche la figura maschile non ne è uscita illesa. Se fossi un insegnante sinceramente mi riterrei offeso. Continuerei a riprendere abbigliamenti inadeguati dalle gonne troppo corte delle alunne alle mutande che escono tragicamente dai jeans degli scolari, ma lo farei per la dignità della scuola non perché non ho la piena padronanza della mobilità delle mie pupille. La questione non sono le parole della docente. La questione è chi nel proprio intimo si è trovato d’accordo con tali argomentazioni. Perché la mentalità si forma nel quotidiano. E la vecchia storiella dell’uomo predatore dai connotati quasi bestiali e della donna-preda che deve difendersi (coprendosi) è trita e ritrita. E purtroppo ci viene riproposta ciclicamente da certi giornali ogni volta che si parla di violenza sessuale. Altrimenti perché ogni volta che si parla di stupro si sente il bisogno spasmodico di informare l’utenza su come era vestita la vittima?


Un commento
elena di pucchio
sara difficile ottenere la parita di genere perche alla. fine le donne hanno solo il 10 per cento del controllo del busi.niss mondiale ma ogni occasione e buona per motivare le nuove generazioni bello l articolo offre molti spunti di riflessione