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Poesia

Il respiro del Cile, ovvero: l’anima di Neruda

Quando con 35 gradi all’ombra respirare diventa difficile, una poesia di Neruda può essere una ventata d’aria fresca; quel respiro che ti ridà presenza e che non ti fa cadere giù come una pera cotta dal sole.

Ogni volta con le parole di Idee Folli è così: mi sbloccano poesie che non vedo l’ora di ricordare. In questo caso è stato il turno di Pablito, bandiera della poesia civile e d’amore insieme. Due generi diversi per carità, ma solo all’apparenza. Quando si legge Neruda, si sente un vento sulla faccia, che solleva aromi esotici e quotidiani, gesti e voci che turbinano nel flusso musicale della coscienza del poeta.

Tuttavia, questa miriade di suoni, profumi e sapori non è un’accozzaglia di meraviglie tra le mani di uno scrittore capriccioso; al contrario, sfila sotto gli occhi del lettore con un’armonia che ha del magico. Io ho sempre ricollegato questa sensazione al respiro di Pablo Neruda. Quando lo leggo mi pare di sentirlo, come se il suo fiato caldo e vivo, fosse presente lì, tra i versi, a tenerli insieme.

Certo, ogni poeta mette l’anima in ciò che scrive, fa confluire il Sé nell’inchiostro e si eterna tra parole che non sono più sue, ma gli appartengono in modo diverso. Pablito però non è tipo da delicate filosofie come questa. È un uomo che ha bisogno di mettere le mani in pasta e forse è proprio questa concretezza che fa percepire nelle sue opere non semplicemente l’anima, bensì il respiro dello scrittore.

La cultura del respiro

D’altra parte, già i Greci dicevano che il respiro è la sostanza dell’anima e quando esaliamo l’ultimo, su di esso vola via la nostra eterea compagna. Se aprissi le porte della simbologia del respiro, lo pneuma di Anassimene, dello Yoga etc, probabilmente vi farei andare in iperventilazione e girerebbe la testa anche a me. Spero, più modestamente, che questo articolo vi faccia porre un’attenzione diversa ai vostri respiri, senza però stressarvi a contarli e a valutarli, uno per uno.

Anche questa eredità me la lascia il teatro, nella consapevolezza che il respiro non è solo aria che entra e che esce; ma ha infiniti legami col nostro mondo emotivo. In questi giorni ripenso a quando ho avuto modo di ascoltare il respiro di persone a me care; è un gioco che faccio a volte, per pura voglia di sintonia. Sarò strambo e misticheggiante, ma con buona pace del vostro giudizio, ve lo dico: che bello respirare a pieni polmoni insieme a qualcuno, intonarti e sincronizzarti a lui o a lei.

Quest’ultima boutade romantica me la concedo come un sospiro di sollievo, per portare l’articolo alla sua conclusione. Se continuassi a scrivere, tergiverserei sull’inesprimibile e vi farei sbuffare di noia, mentre i respiri se la filano inosservati verso la Verità. Solo una cosa, la poesia di oggi, immaginatevela così: matericamente cuore a cuore, come se la sussurraste all’orecchio di chi amate al ritmo del suo stesso respiro.

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare che così,

in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

da Cento Sonetti d’Amore

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