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La ricetta per la felicità secondo Pablo Neruda

Ricetta per la lettura perfetta: non cominciate prima di avere in bocca un cioccolatino e, se non amate la cioccolata, potete anche risparmiarvi la fatica.

(avvertenza: l’articolo potrebbe contenere insulti per chi non ama il cacao)

Dulce Siempre

Perché queste materie tanto dure?
Perché per scrivere le cose
e gli uomini di ogni giorno
si rivestono i versi d’oro,
di antica pietra spaventosa?

Voglio versi di tela o piuma
che pesino appena, versi tiepidi
dell’intimità dei letti
dove la gente ha amato e sognato.
Voglio poesie macchiate
dalle mani e dal quotidiano.

Versi di pasta sfoglia che spandano
latte e zucchero nella bocca,
l’aria e l’acqua si bevono,
l’amore si morde e si bacia,
voglio sonetti commestibili,
poesie di miele e farina.

La vanità va in giro pretendendo
che noi ci eleviamo fino al cielo
o scaviamo profonde gallerie
inutili sotto la terra.
E così dimentichiamo faccende
deliziosamente amorevoli,
scordiamo i pasticcini,
non diamo da mangiare al mondo.

Pablito Neruda

Ecco la ricetta di un poeta che non sbaglia facilmente, né sulla pagina né in cucina, perché sapeva maneggiare bene sia le parole che le padelle. Pablo Neruda è un poeta straordinariamente concreto, uomo della rivoluzione, gran viaggiatore, attaccato alla terra, non solo la sua (quella cilena). Ho letto molte delle sue poesie, una l’ho già condivisa tra i nostri folli articoli, ma la parola “ricetta” mi ha strappato il bis.

Come quando un dolce è troppo buono e devi prenderne un’altra cucchiaiata, allo stesso modo ho ripreso volentieri la poesia di Neruda che avete gustato in apertura. Non è una delle sue più famose o divulgate, ma certamente resta un manifesto di pensiero e di sapore che tutti dovremmo assaggiare.

Soprattutto i poeti e gli intellettuali, che ricoprono con gli splendori dell’artificio la bellezza e la verità. Tuttavia, l’una e l’altra, si ammirano molto meglio quando sono nude: è lì che l’essere umano si meraviglia, si spaventa, si sublima.

Insomma, il contatto con le realtà più profonde deve essere presentato nella forma più semplice: solo così se ne riscopre la dolcezza. Quando invece attorno a un concetto ruota troppo fumo retorico, vuol dire che qualcosa è andato storto nella cottura. Non a caso si dice che la cucina sia un’arte e non solo sopravvivenza. Ragion per cui potrei continuare con decine di metafore tratte dai fornelli, se non mi sentissi già arrivato alla frutta… lol.

Scusate, basta. La smetto davvero. D’altra parte, quando la materia prima è di qualità, il piatto si costruisce da solo e la poesia nasce di conseguenza. Un’ultima nota, se mai vi venisse fantasia di replicare la ricetta di Neruda e diventare anche voi chef della pagina: tutto sta nell’usare i cinque sensi, andare oltre la vista e l’udito, riappropriandosi del gusto, dell’olfatto e del tatto.

ricetta
Gnam Gnam, bestseller mondiale

Non esistono cose immateriali che non abbiano un’origine concreta. Se non ci credete, pensate all’etimologia del verbo sapere: dal latino sapio, avere sapore. Ricordatevelo e mi farete contento. Se poi non vi bastasse e voleste rendermi addirittura felice, ricordatevi che una delle figure retoriche più efficaci è la sinestesia, ovvero: quella figura che mischia due sfere sensoriali diverse, utilissima a insaporire le parole.

Soprattutto, teniamo a mente che le piccole gioie concrete, quando si amalgamano tra loro senza disperdersi, donano alla vita un senso straordinario. E dopo questa… davvero gli ingredienti sono tutti nelle nostre mani. L’articolo ormai è cotto a puntino, ho platealmente disatteso la mia promessa di cessare l’utilizzo di metafore cuciniere; perciò, mi taccio. Adesso sta a voi: prendete una pentola o una penna e datevi da fare. Pablito Neruda sarà fiero di vedervi in azione e dall’alto vi assisterà – lo ammetto – persino se non apprezzate la cioccolata.

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