
Sidereus Articulus
Bisogna avere in sé il Caos, per partorire una stella che danzi.
Mi sembrava giusto cominciare così la mia avventura in questo folle, folle blog, pieno di articoli e di articoliste/i improbabili e sorprendenti. Una citazione dal caro Nietzsche, l’unico filosofo di cui ricordi due frasi in croce dai tempi del Liceo.
Da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui?
Questa è l’altra frase di Nietzsche che ricordo, detta di fronte ad una donna ammaliante e ammaliata. Un filosofo che amava le stelle dunque, come la maggior parte degli uomini.
Siamo sempre stati affascinati dal mondo celeste, diciamocelo chiaro. Alcuni studiosi sostengono che l’uomo, prima che sull’argilla, abbia cominciato a scrivere in cielo: costellazioni, miti, dei, il cerchio dello Zodiaco o di quello che ve pare. C’è stato un tempo in cui alle stelle non si dava solo nome, ma anche credito; e non quello dell’oroscopo, badate. Agli astri si dava il potere di decidere sulla vita e la morte delle persone, più in generale sul loro destino. E sulle guerre? Sì, anche su quelle. Se a Marte pianeta/dio girava male, bisognava partire militari senza aprire bocca. Bei tempi.
Tuttavia, su questo blog c’è scritto che si parlava di sidera, vero? Perciò mi chiedo: non starò andando fuori tema, non sarà troppo babilonese, troppo germanica quest’intro? Probabile.
Facciamo allora un passo indietro, un bel passo indietro da professore: sidera in latino significa stelle, e fin qui c’eravamo proprio tutti. Corre voce quindi, nella nostra lingua, che i desideri e le stelle siano imparentati. Il nesso etimologico è tanto fascinoso quanto falso, e io mi sento un filologo cattivo a volervelo puntualizzare.
Tuttavia, solo per un attimo, diamo alla filologia lo stesso ascolto che daremmo ai consigli di una nonna iper-apprensiva; mettiamola cioè da parte e regaliamoci una suggestione:
Se le stelle fossero davvero custodi dei nostri desideri, che cosa ne deriverebbe? Che i nostri desideri sono più lontani da noi di quanto vorremmo. Che sono in definitiva irraggiungibili, ed eterni? A meno che non vengano giù dal cielo. D’altra parte quando cade una stella, non diciamo “esprimi un desiderio”1?

Altre immagini: le stelle/desideri sono sempre sotto i nostri occhi e non solo i nostri! Sono sotto gli occhi di tutti e forse appartengono a tutti. Una stellare comunità di intenti, più o meno.
Ora, avete la sensazione di star perdendo il filo? Non ne potete più di un articolo che va avanti per associazioni di idee? Vi sembra tutto furbescamente metaforico? Be’, care/i lettrici/lettori, è una rubrica di poesia, non di cucina.
Quindi eccovi i versi della settimana:
Egli desidera i vestiti del cielo
Se avessi il drappo ricamato del cielo,
(William Butler Yeats, 1899)
intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri
del giorno e della notte,
dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
quei drappi stenderei ai tuoi piedi.
Ma io, essendo povero, ho soltanto i miei sogni
e i miei sogni ho steso ai tuoi piedi.
Cammina leggera, perché
cammini sui miei sogni.
Morale della favola: nessuno di noi possiede stelle, ma forse abbiamo dei sogni, più preziosi di quello che pensiamo.
Scherzo, la morale è: datevi una letta al signor Yeats e… buona fortuna in amore!
Note
- Se non lo avete ancora fatto, vedetevi il film Stardust. Se lo avete già fatto, rivedetevelo.
Consigli di lettura
W.B. Yeats, Quaranta poesie, edizioni classici, Einaudi, 1997.

