
Il sonno amletico e la tirannia del Tempo: un articolo molto allegro
Scrivo questo articolo mentre me ne sto cadendo dal sonno, e non è una carineria, non è un gioco di parole. È che stamattina mi sono svegliato alle 9 spaccate, ora in cui avrei dovuto trovarmi in banca a sborsare 200 sacchi. Lì un amico mi ha pazientemente atteso per 35 minuti, prima di poter condurre in porto la nostra transazione. Da qui in poi la giornata non è stata certo in discesa; perché la “discesa”, a maggio, non esiste (sia per gli studenti che per gli insegnanti). E tanto vi basti come cifra reale del mio sonno odierno.
«Insomma stai stanco, te ne vòi anna’ a dormi’, e ti metti a scrivere un articolo sul “sonno amletico”? Sei stupido o non sei stupido, questo è il problema».
Domanda che mi sono posto anch’io, e subito dopo mi sono chiesto:
Se sia più nobile sopportare le percosse
e le ingiurie di una sorte atroce;
oppure, prendere le armi contro un mare di guai
e, combattendo, annientarli.
Questa sorte atroce di non avere più tempo per seguire le nostre ispirazioni, le nostre aspirazioni. Come un senso di torpore che ci invade, ci ruba ogni scintilla di creatività extra-quotidiana. Ebbene, care lettrici e cari lettori, a questo senso di “sonno che ti cieca” oggi mi sono ribellato e adesso sono qui, alle 23:04, a lamentarvi con voi, di quanto io arrivi stirato a fine giornata.
In questa pigra malinconia, posso trovarci perfino un che di nobile, perché mi avvicina a milioni di compatrioti che, potenzialmente, potrebbero leggermi e pensare: «Mado’, come sto cappottata/o io il martedì sera! E non sono nemmeno a metà settimana».
D’altra parte, cosa credete? Quando Amleto pronuncia il suo leggendario «To be or not to be», sta solo all’inizio del terzo atto1. Prima di morire “in pace” (ops, spoiler) deve ancora pedalare parecchio. Questo per dirvi che i massimi interrogativi arrivano quando meno te lo aspetti, come a volte fanno anche le energie. La morte è sopravvalutata, con le sue frasi celebri, il suo dramma. Diciamocelo ragazzi: morire…
Dormire, dormire, nient’altro.
Sognare, forse. Ma questo è il punto:
quali sogni2?
Adesso però occhio ragazzi, ché su questa parola: “sogni”, cambia tutto l’articolo. Perché ve lo confesso: io c’ho l’ottimismo facile; insomma, datemi un po’ di polvere di stelle e parto, verso l’infinito e oltre. Pronti?
Tra sogni ed eternità
Allora: nel sonno cessa la coscienza, ma non la nostra attività cerebrale. E se, quando moriamo, cessasse la nostra vita, ma non i nostri sogni? Qualcuno dirà che adesso sto divagando, altri diranno che ho perfettamente ragione: il mondo è pieno di sogni che sono sopravvissuti ai loro ideatori.
Pensate a Shakespeare che, in guerra con la tirannia del Tempo, ha eretto per sé un monumento immortale tramite i suoi versi e poi se n’è andato a morire, dormire; nient’altro. Ha creato qualcosa per cui un domani altre persone sognarono e sogneranno. Non dev’essere male come obiettivo. In fondo qualcuno ha detto: passiamo metà della nostra vita a dormire e l’altra metà a sognare; oppure a vivere? Adesso non ricordo bene, s’è fatta una certa.
Perciò vado a stringere: è meglio mori’, è meglio dormi’, soffrire d’insonnia o essere eterni? Non lo sapevo quaranta minuti fa e tantomeno lo so adesso. Ragion per cui, prima di entrare in fase Rem, vi lascio con un sonetto di mastro William. A tarda notte, si sa, dall’amletico al romantico il passo è breve:
Quando considero che ogni cosa vivente
rimane in perfezione solo per pochi istanti,
e che questo immenso scenario non offre che apparenze
su cui le stelle arcanamente agiscono.
Quando vedo gli uomini crescere al pari delle piante,
favoriti e avversati dallo stesso cielo,
menar vanto di giovinezza e, giunti al sommo, declinare
e logorarsi sino a perdere il ricordo del loro vigore.
Allora il pensiero di questa esistenza infida
mi richiama agli occhi la tua splendida gioventù,
e come il Tempo e la Rovina si diano a gara
per deturpare il tuo limpido giorno nell’impura notte.
Così, in aspra contesa col Tempo, per tuo amore,
quel ch’ei ti toglie, te lo innesto ancora3.
Note:
1) Gli atti dell’Amleto sono ben 5, e vale la pena di leggerseli TUTTI. Magari, per chi non mastica l’inglese, nella traduzione di Agostino Lombardo o di Eugenio Montale.
2) Se poi volete sapere quale limite ci pone la morte, quali prospettive; se mentre leggete queste righe avete già un teschio in mano, andatevi a sentire la “reinterpretazione” dell’Amleto di Carmelo Bene.
3) I Sonetti di Shakespeare sono usciti in mille edizioni. Tra le più aggiornate quella edita da Mondadori nel 2019, a cura di Roberto Sanesi, con un contributo di Oscar Wilde.

