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Poesia

Lo specchio di Dio e il Narciso celeste: alcuni poetici riflessi

Barambambam, andiamo di mistico. E dopo un incipit così, o avete già chiuso la scheda, oppure leggerete fino alla fine. Oggi mi sento manicheista ragazzi, niente vie di mezzo; d’altra parte, con Dante è giusto così. I più danteschi dantisti avranno già capito dove voglio andare a parare, basta avere confidenza col Paradiso per intuirlo. Una confidenza che, fuor di metafora, ci augureremmo tutti di avere prima o poi; soprattutto quando ci guardiamo scorrere via col tempo davanti allo specchio.

Sentite anche voi, in quei casi, la gola un po’ secca? Quella sete di eternità che si accende e brucia dentro di voi. Vi coglie l’istinto irrefrenabile di tuffarvi nello specchio liquido e afferrare la vostra essenza presente, con tutte le sue presunte, perfette imperfezioni? No?

Ok, forse allora è soltanto un mio vizio. Non sapete che capocciate do sul vetro, altro che Narciso. Lui almeno si specchiò nell’acqua e, a caderci dentro, non si sarebbe fatto male. Tuttavia, non crediate che la sua sia una storia a lieto fine; anzi, se non avete confidenza col mito, ve lo racconto1.

Da giovane a fiore

Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Preoccupata per il futuro del bimbo, di eccezionale bellezza fin dalla nascita, Liriope consultò l’indovino Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso”.

Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età era un giovane di tale bellezza, che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, s’innamorava di lui; ma Narciso, orgogliosamente, respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi, desiderosa di rivolgergli la parola; ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto. Era stata infatti punita da Giunone, perché l’aveva distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove2, si nascondevano.

Narciso, quando sentì dei passi, gridò: «Chi è là?», Eco rispose: «Chi è là?» e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa, dicendole di lasciarlo solo. Allora Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase soltanto la voce.

Nemesi3, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, s’imbatté in uno specchio d’acqua e si accucciò su di esso per bere. Non appena vide per la prima volta la sua immagine riflessa, s’innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso (non proprio sveglissimo il ragazzo ndr). Solo dopo un po’ si accorse che l’immagine riflessa apparteneva a sé stesso e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia.

Specchio-Narciso, Michelangelo Merisi, olio su tela, 1597-1599
Narciso, Michelangelo Merisi, olio su tela, 1597-1599

Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore, al quale fu dato il nome di narciso.

Specchio, specchio delle mie brame… vatti a fidare! Questa, verrebbe da dire, in ultima analisi è la morale. Ma vi sembra che io abbia mai scritto articoli per farvi la morale? No, e neanche questa volta è così. Mi sono specchiato nella favola di Narciso, tra gli inganni del tempo e della bellezza, per tutt’altro motivo.

Quali per vetri trasparenti e tersi

Torniamo a Dante, al poeta che preferisco senza troppo mistero. Da quando in redazione abbiamo scelto la parola “Specchio” per questa settimana, non smetteva di frullarmi in testa il seguente passo4:

Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte5.

Paradiso, Canto III, vv. 10-18

Siamo nel Cielo della Luna, là dove risiedono gli spiriti beati che non portarono a compimento i loro voti. Di tali anime non resta altro che un riflesso, tanto sono esili ed evanescenti. Ciononostante non rimpiangono nulla; anzi, la loro gioia consiste nell’uniformarsi completamente alla volontà di Dio. È in lui che si specchiano Piccarda Donati e compagnia santissima, per trovare la pace.

L’esatto contrario di quel che accadde a Narciso, “l’omo” che nel “fonte” ammirò la sua dannazione. Eppure, Dante utilizza proprio la sua storia come metafora per descrivere un destino di salvezza; forse perché tra questi due opposti, tra la bellezza pagana e il voto cattolico, c’è un filo invisibile.

Cosa evoca in me tutto questo? Il celeste pensiero che, alla fine, ciò che vediamo dentro lo specchio dipende sempre e solo da noi.

Note:

1) Nella versione delle Metamorfosi di Ovidio. Specifico perché, come sempre accade con miti e favole, di versioni ce ne sono a bizeffe.

2) Finisce sempre così col sommo Giove: lui per primo seduce le sue amanti; ma poi, alla resa dei conti con la moglie Giunone, ci rimettono solo le povere donne mortali.

3) Il cui nome, in greco, significa “Vendetta”.

4) Se volete leggere seduta stante l’intero canto, con Beatrice splendente annessa: Divina Commedia-Paradiso-Canto III

5) Se addirittura vi fosse venuta voglia di ascoltarlo/vederlo, vi consiglio Senza Principio e senza Fine, terzo atto della maratona di Lamberto Lambertini In viaggio con Dante. Questo regista, con la Società Dante Alighieri, ha avuto il fegato di registrare 100 videoclip, una per ogni canto della Divina Commedia, tra cui il Cielo della Luna secondo Lambertini.

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