
Una mela al giorno toglie il simposio di torno
«Ma perché devi dire simposio, banchetto non andava bene? Tu e le parole antiquate…»
Guarda che non è sport, caro lettore immaginario, sono due cose diverse: perché nel banchetto si banchetta e nel simposio, be’, si simposia. Cioè: nel primo, fondamentalmente, mangi; nel secondo, bevi. Bevi e, mentre ci dai giù parecchio, reciti o canti una poesia. E magari qualche signorina lì presente ti tira pure una mela in testa, perché è così che si manifestava l’intenzione amorosa a quei tempi1.
Di che sto parlando? Fatemi focalizzare l’ambiente: siamo nella Grecia arcaica e classica (VII-V secolo a.C.), diciamo ad Atene, a casa di Alcibiade, che ha un bel portico e i triclini nuovi2. In quei beati tempi i Greci si divertivano così il venerdì sera, e non solo il venerdì: tutti i compagnoni di un’eteria3 si radunavano per parlare di politica e di cultura; nonché, fondamentalmente, per bere e divertirsi. Feste per soli uomini, sia chiaro; al massimo c’era qualche bella flautista “mestierante” ad allietare la serata.
Se invece eri donna e volevi farti la tua esperienza enogastronomica, poetica e sociale, dovevi entrare nel tìaso di Saffo; perché è lì che sbocciavano le fanciulle, senza nulla da invidiare ai maschi, intendiamoci. Parliamo, insomma, di uno dei momenti più importanti per la costruzione di rapporti politici e interpersonali all’interno della polis (vale a dire la “città-stato” alla greca).
Tuttavia, non vorrei ampliare troppo il discorso, perché col greco ci metto un attimo a farmi prendere la mano. Concentriamoci sul topic: la mela in simposio. A proposito, sapevate che la parola “mela” l’abbiamo presa dal greco? E che in greco μῆλον (mèlon) non significava solo e specificamente mela3? E che quindi la mela biblica di Adamo ed Eva potrebbe essere un altro tipo di frutto? Certo, c’è da dire che i Latini hanno scelto bene la “mela” (lat. malum) per essere il frutto tentatore: guardate quanto è simile alla parola “male” (lat. malus)!
La mela e il simposio da Alcibade
Come non detto, ho divagato.
Torniamo al nostro simposio da Alcibiade, nel quale la mela poteva essere, ad esempio, un “premio”; e non sarebbe stata la prima volta. Mi riferisco a quando Eris, dea della Discordia, imbucatasi al banchetto nuziale di Peleo e Teti, aveva lanciato sulla tavola imbandita una mela per “la più bella tra le dee”, senza dire chi fosse…
Con minori conseguenze mitologiche5, la mela poteva essere un simpatico premio di corteggiamento, come nel cottabo: un gioco simposiale in cui bisognava centrare bersagli facendo volare le ultime gocce di vino dalla coppa. Spesso il giocatore dedicava il lancio alla persona che intendeva conquistare. Vi immaginate la scena? Gli studiosi affermano che questo gioco possiede origini sacre, tipo brindisi divino, libagione agli dei; per cui un’aura di sacralità accompagnerebbe il momento in cui, dopo svariati bicchieri, ci si improvvisava cecchini col vino di Chio, magari urlando: «Per te Frinide!»
Di solito il simposiarca riusciva ad annacquare abbastanza il vino dei convitati6, ma se poco poco decideva di bere “alla trace” – e i Traci bevono solo vino assoluto – qualcuno poteva andarsene in coma, piuttosto che a casa o a far baldoria in corteo per le strade della città7.
Saffo: la decima musa
In queste riunioni chiassose, tra una danza e l’altra, dopo aver brindato alla faccia di Mirsilo il tiranno8, si cantava la Poesia, quella vera, immortale. I versi si accendevano spesso in una gara e, in questi casi, vincevano regolarmente i poeti di Lesbo9. Costoro, per farvi capire, nel panorama della lirica greca sono l’equivalente dei Cinesi quando si gioca a ping pong: insuperabili. Per darvene prova, adesso potrei parlarvi di Alceo, eccelso poeta di Dioniso10 e della Polis insieme; ma l’icona della mela poetica, simbolo di bellezza irraggiungibile, appartiene ad un’altra, cioè a Saffo, per gli amici la “decima Musa”11.

Ecco uno dei suoi frammenti più famosi:
«Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più alto;
la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla».
Si tratta di un canto per una delle sue ragazze, una di quelle che istruiva nel tìaso a prendere marito con stile. Come accadeva con ciascuna allieva, prima o poi arrivava il giorno in cui la maestra d’amore avrebbe dovuto separarsi da lei. Ed è in quelle occasioni, tristi e gioiose insieme, che Saffo componeva.
E ora che sappiamo come andava il mondo, facciamo un’ultima bella cosa: facciamo che gli altri poeti si scansano proprio, e godiamoci una delle liriche più belle dell’antica Grecia12:
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Note:
1) Aristofane, grande commediografo greco, mette in guardia i ragazzi dal guardare a bocca aperta le ballerine; altrimenti, quando meno se lo aspettano, le sfacciatelle gli tirano una mela in faccia e si sono giocati la reputazione per sempre. A parlare è il Discorso Maggiore, incarnazione dell’educazione conservatrice, personaggio della commedia le Nuvole (ai versi 996-997); un testo ancora divertente a distanza di quasi 2500 anni.
2) Immaginatevi letti ben rialzati e un’idea di lusso, importata con cura dal caldo Oriente.
3) Cioè un gruppo di persone che condivideva interessi politici, culturali, religiosi e filosofici. Mica alla leggera oltretutto, tra questi compagni di simposio c’era vincolo di giuramento.
4) Se non vi fidate di me prendete il vocabolario. Forza, da bravi controllate sul Rocci o, ancora meglio, sul Liddell-Scott. Però vi avverto: pesano.
5) Vi ricordo che lo scherzetto di Eris aveva finito per innescare la guerra di Troia, vedi l’Iliade.
6) Cioè il “re” del simposio, responsabile di non farlo degenerare oltre una certa. A tal proposito, l’abitudine di annacquare il vino era un’usanza diffusa, non una furberia degli ospiti più tirchi.
7) Si tratta del caratteristico komos, ovvero il nostro moderno after-party (tutte evenienze filologicamente attestate).
8) Il peggior nemico di Alceo, che scrisse una poesia apposta per brindare alla sua morte!
9) Lesbo è un’isola greca nel Mar Egeo, poco distante dalla penisola anatolica. Vanta gli illustri natali di Saffo e Alceo, che tra le città di Ereso e Mitilene fecero scuola nella lirica tra VII e VI secolo a.C.
10) Il Dio greco del vino, dell’ebbrezza, della febbre del sabato sera.
11) Tanto era il suo talento, che la tradizione la affianca alle nove tradizionali dee protettrici dell’Arte.
12) Cito entrambe le poesie nella celebre traduzione di Salvatore Quasimodo: un pelino libera, rimaneggiata, ricca di licenze poetiche. Per tradurre alla lettera Saffo – operazione che ripaga più di quanto si immagini – c’è l’Università e, fortunatamente, ci sono professori come Maurizio Sonnino, che ne sa una più di Ade e che ringrazio per i consigli dispensati per tesi, articolo e molto altro.

