
Il volto di Giano: la natura duale del ricordo.
Il ricordo è caratteristica propria dell’essere umano. Il ricordare è gettare un ancora nel mare del tempo, tracciare una rotta su una mappa, tratteggiare una peculiare increspatura della Storia. Il ricordo è tempo, vive nel tempo, e dal tempo trae senso. I ricordi sono i secondi che scandiscono la nostra vita. Esso collega passato, cioè l’unica dimensione del tempo che possiamo comprendere, al presente, che nella usa attualità è ineffabile ed intangibile. Ogni tentativo di categorizzarlo, di comprenderlo e di farlo proprio lo relega nella dimensione del passato. Il futuro, invece, è per definizione quello che ancora non è. Il passato, tramite il ricordo, è invece sempre presente, sempre vivido. Il ricordo è forse il nostro collegamento più forte e intenso con il tempo e la temporalità.
Il ricordo è anche l’impronta dell’umanità. Prerogativa del divino è infatti l’onniscienza. Ma l’onniscienza rende il ricordo impossibile. Il ricordo è un frammento di vita strappato all’oblio, esiste in una faglia, è uno spiraglio del tempo tenuto aperto dall’essere umano. È temporale e destinato a richiudersi. Il ricordo è una esperienza fuggevole, non è conoscenza. Ricordare è un tratto dell’essere temporale dell’umanità, un ponte effimero tra passato e presente.
Il ricordo tra passato e futuro.
Il ricordo è inoltre inversamente proporzionale alla vita. Assente al suo inizio e onnipresente verso la sua fine. In questo si riallaccia alla figura dell’angelo della storia tratteggiata sempre da Benjamin. Come l’angelo della storia, ogni essere vivente è spinto verso il futuro, futuro che però non può guardare fino a che non diventa passato. Il ricordo è sì uno sguardo diretto verso ciò che è stato, ma è collocato nel presente e va a creare un legame, temporaneo e ineffabile, il passato stesso.

I ricordi sono inoltre personali, hanno e traggono senso e valore dalla prospettiva di chi quei ricordi li genera, li possiede, li ha vissuti, li condivide. Ma i ricordi sono allo stesso tempo anche collettivi. Sono la fusione delle esperienze di molti individui, ma sono anche molto di più. Hanno il potere di trasformare. Ma non sono uguali per tutti. Nonostante siano condivisi, la loro fruizione resta inevitabilmente personale.
Il mito di ER: il ricordo come sapienza.

Le Moire Cloto e Lachesi intente ad attorcere e avvolgere il filo del fato. La Moira Atropo siede nell’attesa inesorabile di reciderlo – John Strudwick, A Golden Thread (Un filo prezioso), 1885 (olio su tela)
Il ricordo svolge anche una funzione di guida, direttamente correlato alla saggezza, ma non a una saggezza infusa o scoperta in modo miracoloso, ma ad una acquisita faticosamente nel corso della vita. Il ricordo è il frutto maturo dell’esperienza. Pensandolo come saggezza ci riconnettiamo alle riflessioni condotte più di 2000 anni fa dal filosofo greco Platone.
Il ricordo svolge un ruolo centrale in uno dei più famosi miti platonici, contenuto nella Repubblica [Platone La Repubblica], ovvero il mito di Er. Er, una volta ritornato in vita racconta a coloro che stavano partecipando al suo rito funebre la sua esperienza nell’aldilà, e il punto centrale del suo racconto è il ricordo. Er, infatti, narra che, quando le anime devono compiere la scelta della vita successiva, lo fanno basandosi sulla memoria che hanno di ciò che avvenuto, ovvero sui loro ricordi. Davanti a loro si presenta una infinita di vite possibili, tessute dalle Parche, e possono scegliere solamente una fra queste. L’oblio, ottenuto tramite l’acqua del fiume Lete, verrà dopo. La memoria è fondamentale per decidere saggiamente la vita futura. Ma il ricordo è sempre temporaneo: dopo la scelta, arriva l’oblio. E il ciclo ricomincia.
Nel pensiero platonico la memoria assume un ruolo centrale in quanto è tramite essa che è possibile apprendere le “idee” e, di conseguenza, il mondo. La capacità di ricordare, come la teoria delle idee e il mito di Er ci narrano, è correlata alla sapienza.
Amarcord.

Di ritorno dall’iperuranio, questa riflessione sulla natura del ricordo ci porta nella mia terra natale, la Romagna. Nella lingua romagnola l’attività del ricordare si sintetizza nell’espressione Amarcord. Questa parola nasce dalla crasi della frase “io mi ricordo” (in romagnolo a m’arcord) e venne consacrata dal regista Federico Fellini che la rese celebre al punto da entrare prepotentemente nella lingua italiana.
Dal momento che le parole sono lo strumento con cui comprendiamo il mondo, lo organizziamo e lo rendiamo comunicabile, questa espressione ci comunica una lezione importante. Questa parola non indica solo il ricordo, ma l’atto stesso del ricordare. In questa espressione essi sono simultanei. Ricordare è sempre una azione. La dimensione del ricordo non è passiva, bensì attiva. È un costante atto di connessione, di interpretazione e narrazione del passato. È un atto costante ma ogni volta diverso. Il ricordo è duale. Come la luce è sia particelle che onda, il ricordo è simultaneamente azione e conseguenza dell’azione. Il ricordo è arte.
Il ricordo e l’aura

Warhol Campbell Soup’s can
La natura del ricordo è affine a quella dell’opera d’arte. Come essa è unico, e come essa è in costante dialogo con chi ne fruisce. Ma il ricordo differisce dall’opera d’arte per un tratto sostanziale: nel ricordare, come detto in precedenza, la creazione, l’esistenza e l’esperienza confluiscono nello stesso momento. Esso è una opera d’arte che esiste fintanto che si crea e si dissipa non appena è compiuto. Nello stesso momento il soggetto crea e fruisce il ricordo. Esso è davvero la realizzazione del motto l’art pour l’art.
Per queste ragioni non lo si può replicare. La sua aura, per dirla con le parole di Walter Benjamin, non viene intaccata, al contrario di altre forme di arte, dalla riproducibilità tecnica [Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica]. I ricordi non sono riproducibili. Gli eventi lo sono, ma la loro percezione come ricordi necessita sempre dell’azione umana e si caratterizza come un fatto eminentemente temporale. Non si ricorda mai uno stesso evento due volte nello stesso modo. Lo si può comunicare e condividere, ma il ricevente per necessità ne fruirà in modo del tutto nuovo, danno origine ad un altro ricordo.
Il volto di Giano.
Il ricordo si configura pertanto come il volto di Giano. La dualità è la caratteristica del suo essere. È sostanza e azione, produzione e fruizione, passato e presente. È un ponte, e come tutti i ponti poggia su due rive: il soggetto si trova esattamente al centro. La via del ricordo, come quella di niciana memoria, non solo va si in direzione del passato che del futuro, ma è contemporaneamente passato e futuro.
La sua direzione è biunivoca e trae senso dal soggetto. Il ricordo è il volto di Giano, ponte tra passato e presente e tra presente e passato, ma anche guida verso il futuro. Come Giano, il ricordo si colloca sulla soglia, etereo, né nel passato né nel presente ma sempre in bilico tra di essi.


